PRIMA LETTERA AI FEDELI
(FONTI FRANCESCANE)
CAPITOLO I – Di coloro che fanno penitenza
Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e la mente, con tutta la forza (cf. Mc. 12,30) e amano i loro prossimi come se stessi (cf. Mt. 22,39), e hanno in odio i loro corpi con i vizi e i peccati, e ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno frutti degni di penitenza (cf. Lc. 3,8):
Oh, come sono beati e benedetti quelli e quelle, quando fanno tali cose e perseverano in esse; perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore (cf. Is. 11,2) e farà presso di loro la sua abitazione e dimora (cf. Gv. 14,23); e sono figli del Padre celeste (cf. Mt. 5,45), del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri (cf. Mt. 12,50) del Signore nostro Gesù Cristo.
Siamo sposi, quando l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù di Spirito Santo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli (Mt. 12,50). Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio (cf. Mt. 5,16).
Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre!
Oh, come è santo, fonte di consolazione, bello e ammirabile avere un tale Sposo!
Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, il quale offrì la sua vita (cf. Gv. 10,15) per le sue pecore, e pregò il Padre dicendo: “Padre santo, custodiscili nel tuo nome (cf. Gv. 17,11)), coloro che mi hai dato nel mondo; erano tuoi e tu li hai dati a me (Gv. 17,6). E le parole che desti a me le ho date a loro; ed essi le hanno accolte ed hanno creduto veramente che sono uscito da te, e hanno conosciuto che tu mi hai mandato (Gv. 17,8). Io prego per essi e non per il mondo (cf. Gv. 17,9). Benedicili e santificali! E per loro io santifico me stesso (cf. Gv. 17,17 – 17,19). Non prego soltanto per loro, ma anche per coloro che crederanno in me per la loro parola (Gv. 17,20), perché siano santificati nell’unità (cf. Gv. 17,23) come lo siamo anche noi (Gv. 17,11). E voglio, Padre, che dove sono io, siano anch’essi con me, affinché contemplino la mia gloria (Gv. 17,24), nel tuo regno” (Mt. 20,21). Amen.
“Dio avrebbe potuto venire vestito di gloria, di splendore, di luce, di potenza, a farci paura, a farci sbarrare gli occhi dalla meraviglia. No, no! È venuto come il più piccolo degli esseri, il più fragile, il più debole. Perché questo? Ma perché nessuno avesse vergogna ad avvicinarlo, perché nessuno avesse timore, perché tutti lo potessero proprio avere vicino, andargli vicino, non avere più nessuna distanza fra noi e lui. C’è stato da parte di Dio uno sforzo di inabissarsi, di sprofondarsi dentro di noi, perché ciascuno, dico ciascuno di voi, possa dargli del tu, possa avere confidenza, possa avvicinarlo, possa sentirsi da lui pensato, da lui amato… da lui amato: guardate che questa è una grande parola! Se voi capite questo, se voi ricordate questo che vi sto dicendo, voi avete capito tutto il Cristianesimo”.
Papa Paolo VI il 25 dicembre 1971
Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,7). Ecco l’icona del Natale: un fragile neonato, che le mani di una donna proteggono con poveri panni e depongono nella mangiatoia. Chi può pensare che quel piccolo essere umano è il “Figlio dell’Altissimo” (Lc 1,32)? Lei sola, la Madre, conosce la verità e ne custodisce il mistero. In questa notte anche noi possiamo ‘passare’ attraverso il suo sguardo, per riconoscere in questo Bambino il volto umano di Dio. Anche per noi, uomini del terzo millennio, è possibile incontrare Cristo e contemplarlo con gli occhi di Maria.
(Giovanni Paolo II 24 dicembre 2002)
Quale potere si è posato sulle spalle di Cristo in quella notte? Un potere unico. Il potere, che soltanto lui possiede. Infatti soltanto lui ha il potere di penetrare l’anima di ogni uomo con la pace del Divino Compiacimento. Soltanto lui ha il potere di far sì che gli uomini diventino figli di Dio. Soltanto lui è in grado di elevare la storia dell’uomo all’altezza della gloria di Dio. “Soltanto lui”.
(Giovanni Paolo II 24 dicembre 1982)
Ecco l’Emmanuele, il Dio-con-noi, che viene a riempire di grazia la terra. Viene al mondo per trasformare il creato. Si fa uomo tra gli uomini, perché in lui e per mezzo di lui ogni essere umano possa profondamente rinnovarsi. Con la sua nascita, egli ci introduce tutti nella dimensione della divinità, elargendo a chi nella fede si apre ad accogliere il suo dono la possibilità di partecipare alla sua stessa vita divina. Questo è il significato della salvezza di cui odono parlare i pastori nella notte di Betlemme: “Vi è nato un Salvatore” (Lc 2,11). La venuta di Cristo fra noi è il centro della storia, che da allora acquista una nuova dimensione. In un certo senso, è Dio stesso che scrive la storia inserendosi al suo interno. L’evento dell’Incarnazione si dilata così ad abbracciare tutta l’ampiezza della storia umana, dalla creazione alla parusia. Ecco perché nella Liturgia tutta la creazione canta, esprimendo la propria gioia: plaudono i fiumi, esultano gli alberi della foresta, si allietano le isole tutte (cfr Sal 98,8; 96,12; 97,1). Ogni essere creato sulla faccia della terra accoglie l’annuncio. Nel silenzio attonito dell’universo, rimbalza con eco cosmica ciò che la Liturgia pone sulle labbra della Chiesa: Christus natus est nobis. Venite, adoremus!
Giovanni Paolo II (24 Dicembre 1998)